Il Venerabile Prete Don Giacomo Carenzo da Diano Borello figlio spirituale di Santa Caterina Fiesca Adorna da Genova

di Francesco Biga

Caterina, del nobile casato Fieschi, nacque a Genova nel 1447. Sposò Giuliano, del nobile casato Adorno nel 1463. Col marito si rifugiò nell’ospedale di Pammatone per assistere gli infermi. Dal 1489 fu rettore della parte dell’ospedale adibito alle donne e mantenne la carica per ventuno anni. Nell’ottobre del 1497 Caterina rimase vedova. Essa morì il 14 settembre 1510. Per le opere di bene compiute, per il fervore religioso e per la sua strettissima unione con Dio, il 16 maggio 1737 fu registrata nel Canone dei Santi.

Vastissima è la letteratura e numerose sono le agiografie che la riguardano. Fra gli autori più notevoli ricordiamo Cattaneo Marabotto, Ettore Vernazza, Alessandro Maineri, Giacinto Parpera (i più antichi), infine Padre Gabriele da Pantasina che pubblicò la sua opera nel 1929, ed alcuni altri più moderni che segnaleremo nell’ultima nota di questo articolo.
Figlio spirituale della Santa fu il venerabile Don Giacomo Carenzo di Giovanni (testimone dei celesti suoi doni), nato intorno alla metà del XV secolo a Diano Borello. I suoi fratelli furono Onorato, Bartolomeo e Benedetto (ebbe costui un figlio di nome Tommaso). Dopo un periodo di sacerdozio nel suo paese natio, il Carenzo si trasferì a Genova. Questa è la prima notizia che abbiamo avuta leggendo i manoscritti del reverendo Giuseppe Ardoino e alcuni frammenti riguardanti il primo testamento del venerabile, stilato il 4 settembre 1509 (che in seguito illustreremo poichè ne abbiamo rintracciato l’originale, conservato nell’Archivio di Stato di Genova) gentilmente messi a nostra disposizione dall’insegnante Laura Ardissone qualche anno fa.

Quattro giorni prima di morire Santa Caterina, che aveva dettato il suo ultimo testamento il 18 marzo precedente, mentre era degente nella sua camera presso l’ospedale di Pammatone in Genova, in un codicillo espresse il desiderio di essere seppellita nel monastero di San Nicola del Boschetto, ma poi lasciò a Don Giacomo Carenzo (che per i suoi studi, per le sue profonde conoscenze teologiche e per la sua intelligenza era diventato direttore dell’ospedale stesso) la facolt? di farla seppellire, coadiuvato dal venerabile prete Don Cattaneo Marabotto, dove meglio avesse creduto. I due religiosi, con atto stilato il 16 settembre 1510, ordinavano che la Santa venisse seppellita nella chiesa dell’ospedale.
Per dare un’indicazione storica, ricordiamo che quando si svolsero tali fatti, eravamo ai tempi di Giovanni de Medici, detto “Dalle bande nere”, e del dissidio sorto tra l’imperatore Carlo V e il papa Clemente VII; dissidio che culminò con il sacco di Roma del 1527.
Per i sacerdoti che con la Santa collaborarono, essa diventò, dopo la sua morte, un simbolo d’amore e di culto profondo. Non a caso – scrive Cassiano Carpaneto da Langasco – mentre i suoi oggetti di maggior rilievo furono prelevati dall’Amministrazione ospedaliera, gli altri se li divisero con affetto e venerazione le persone che a lei erano state vicine. Don Giacomo Carenzo acquist? una coperta di seta vermiglia. Ma non ancora pago, volle vivere gli ultimi suoi anni nella casa già abitata dalla Santa. I protettori dell’ospedale, con atto del notaio Gregorio Sauli Sacchero, stilato il 30 agosto 1511, assecondarono il suo desiderio, per cui gli fu concesso di abiare in una camera (compreso un viridario) dell’abitazione della Fiesca, ubicata presso il refettorio dell’ospedale.

Ritornando al primo testamento del Carenzo di cui abbiamo fatto cenno (stilato il 4 settembre 1509 dal notaio Paolo de Ferrari da Genova), ritenendolo il documento più interessante lo riassumiamo qui di seguito:
Pensando ad ogni bene, il venerabile Don Giacomo acquista dei luoghi (cedole da cento lire) in una colonna (effettua un deposito) presso le compere del Banco di San Giorgio, ammontante a lire 962 e, in atto notarile dichiara che detti luoghi, ed altri eventuali, in nessun tempo si sarebbero potuti adoperare fino a che, accumulando i loro redditi, non avessero raggiunto un totale di centoventi. Di tali redditi si doveva rendere conto ai signori protettori dell’Ospedale di Pammatone in Genova. Destina in perpetuo pure il reddito annuale di venti luoghi per le necesit? degli infermi e degli esposti dell’Ospedale stesso. Un reddito annuale di venti luoghi invece lo destina al rettore in carica della parrocchia di San Michele nella Villa di Borello del Castello di Diano (dopo averne fatto costui richiesta ai protettori suaccennati) con la condizione che venga mantenuto un cappellano (il cui nominativo dovrà essere dichiarato) che, quotidianamente e personalmente celebri la messa in detta parrocchia, all’altare di Santa Croce. Se, entro tre mesi, il rettore non avesse richiesto il versamento della somma per pagare il cappellano che, per un anno, ha officiato, essa sarebbe andata per metà a beneficio degli infermi e degli orfani come sopra e l’altra metà ai massari di San Michele, da sperndersi in opere di muratura e di ornamento per la chiesa parrocchiale.

Tramite i protettori dispone che il reddito di altri venti luoghi vada al Capitolo di San Nicolò di Bari (parrocchia del Castello di Diano) affinchè lo stesso mantenga un cappellano che serva gli Uffici divini nella chiesa per quattro giorni, e in quella di San Pietro fuori le mura (Diano San Pietro) sull’altare edlla Beata Vergine Maria per gli altri tre giorni della settimana.
Se stilati dei documenti in merito tra il rettore di San Nicolò ed il cappellano in merito, e se i massari non ne fossero venuti a conoscenza, si sarebbe proceduto come per San Michele (metà della somma agli infermi e agli esposti di Pammatone e l’altra metà per il restauro delle chiese di San Nicolò e di San Pietro). Inoltre il Carenzo stabilisce che una parte dei redditi di altri venti luoghi, pari a lire trenta di genovine, vengano distribuiti dai protettori alle ragazze in procinto di maritarsi, discendenti legittime della stirpe maschile del Casato di Giovanni (padre di Don Giacomo) e Andreolo, previa lettera testimoniale del podestà e del Consiglio Comunale che le accerti tali.

Parimenti destina uguali quote di reddito per singoli giovani che avessero desiderato intraprendere gli studi superiori (lire quindici di genvine per ognuno dei nove anni prestabiliti). In mancanza di discendenti detto reddito si doveva versare a beneficio di ragazze povere in procinto di maritarsi e di giovani indigenti desiderosi di studiare.
Una ulteriore norma testamentaria del Carenzo dice che i protettori dovevano accumulare i redditi di quaranta luoghi (pari a venti scudi) per portare a duecento i centoventi luoghi di deposito. Dopo di che con i redditi di altri quaranta luoghi e con le stesse preocedure, si potevano stipendiare due cappellani officianti nella chiesa di Borello (agli altari di Santa Croce e dell’antica cappella di San Michele), altrimenti, dovevansi distribuire in varie percentuali all’Ospedale di Pammatone, alle ragazze da marito ed a studenti maschi poveri.
Inoltre il Carenzo concede il reddito annuale di dieci luoghi in favore del rettore e dei massari di San Michele e di San Pietro per fare riparazioni alle rispettive chiese, e quello di quaranta luoghi al Capitolo ed ai massari di San Nicolò del Castello, perchè vengano assunti altri due cappellani quotidianamente officianti (uno dei due destinato alla chiesa di San Pietro la quale, anche se si fosse separata da quella del Castello, ne avrebbe potuto disporre ugualmente).
Prima di morire il venerabile prete aveva stilato una postilla che in seguito venne allegata al suddetto testamento (che diremo a carattere finanziario e assistenziale), nella quale esprimeva la volontà che, qualora si fossero fatti preti dei giovani del Casato Carenzo, dovevano questi anteporsi, come cappellani, a quelli che non portavano il cognome e, nell’ambito di questa formula, preferendo i preti della discendenza diretta di suo padre Giovanni, a quella di altri della stessa parentela.

Dei rimanenti sessanta luoghi (con i quali si raggiunge il numero di duecento, di cui abbiamo fatto cenno), secondo Don Giacomo i redditi dovevano utilizzarsi dai protettori con l’obbligo di ripartirli tra le ragazze in procinto di maritarsi discendenti della linea maschile, sempre della stirpe del padre Giovanni, purchè munite della solita dichiarazione sottoscritta dal podestà e dal Consiglio Comunale comprovante la loro linea diretta. Le altre ragazze indigenti, nate da legittimo matrimonio, avrebbero ricevuto dai protettori una somma, tra le quaranta e le cento lire ciascuna, una sola volta, e gli studenti lire venti di Genova. Questo è il quadro riassuntivo di quanto il Carenzo dispose a suo piacimento nel testamento (composto di sei carte di registro di cm 42×20) delle rendite o alienazioni di suoi beni finanziari; testamento stilato e firmato dal notaio Paolo de Ferrari da Genova, conservato nell’Archivio delle Compere del Banco di San Giorgio. Il venerabile, sempre più desideroso di riordinare le proprie cose, di fronte ai problemi della vita e della morte (in modo particolare molto sentito quest’ultimo problema in quei tempi, quando il testatore cercava di salvaguardare i beni della propria famiglia nei riguardi dei discendenti, intendendolo più importante della propria esistenza), ritornato per una breve periodo a Diano Borello, il 24 maggio 1513, tramite il notaio Giovanni Antonio Bonfante, dett? un secondo testamento nel quale dichiarava che il giuspatronato del canonicato istituito dal padre Giovanni nella chiesa di San Nicol? del Castello di Diano, andasse diviso tra i fratelli Onorato e Bartolomeo. Al tempo stesso designava eredi di tutti i suoi beni costoro e Tommaso, figlio del fratello Benedetto.

Non sappiamo la data precisa della morte del Giacomo Carenzo, ma in base a certi particolari argomenti espressi in alcune carte, approssimativamente possiamo collocarla intorno al 1520. Indubbiamente morì a Genova, mentre era ancora direttore dell’Ospedale di Pammatone.
La sua opera spirituale e beneficiaria lasciò per lungo tempo vasta eco nel mondo religioso. Infatti, tra l’altro, lo ricordano i biografi della Santa, che all’inizio di questo articolo abbiamo menzionato e di cui facciamo riferimento nella nota.